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SEEDS 2 – Persone di talento o talento delle persone?

La crescita sostenibile si fonda sulle persone: è importante attrarre quelle giuste per favorire il ricambio generazionale, coinvolgere quelle già presenti nell’organizzazione, scoprire e allenare i talenti di tutti i colleghi, sviluppare e potenziare le competenze in linea con l’evoluzione del mercato. Si tratta di sfide cruciali non solo in chiave etica, ma anche per favorire una crescita sana del business”.

Così riportava un’intervista ad un senior HR di una multinazionale, pubblicata su Repubblica di qualche tempo fa.

Sembrano quindi ormai lontani i tempi della “guerra dei talenti”, espressione coniata dalla società McKinsey alla fine degli anni ‘90, nata per rappresentare quel fenomeno di forte competizione tra le imprese per arruolare e trattenere i “best in class” in grado di rappresentare un vantaggio competitivo per le aziende che li assumevano.

Nel 2007, 10 anni dopo aver inventato la nuova espressione, McKinsey tornò sul tema, in un articolo comparso nel The Mckinsey Quartely, che riportava: “La guerra dei talenti non è mai finita. I manager dovrebbero costantemente ripensare le modalità con le quali le loro aziende vogliono attrarre, motivare e trattenere i dipendenti”.

È passato un altro decennio e, di nuovo, la società di consulenza insiste: pubblica il report “Skill shift: automation and the future of the workforce”, nel quale conferma la centralità del tema, riportandolo al contesto attuale.

Il tema dei talenti, nelle sue declinazioni di attraction, development e retention riafferma dunque la sua rilevanza come fattore chiave e di successo per le imprese e mette d’accordo i professionisti delle risorse umane e i CEO.

Ma il bacino da cui attingere sembra molto ridotto: tra giovani startupper e “cervelli in fuga”, alle nostre imprese, apparentemente, resta una scelta limitata. Ma è davvero così? Oppure il talento si può coltivare anche all’interno dell’organizzazione?

La sfida del talento è una sfida per la crescita

Oggi il mercato del lavoro richiede alle persone una preparazione sempre maggiore, in termini di formazione e di competenze hard e soft, e spesso il mismatch tra le competenze possedute e quelle attese risulta essere la principale difficoltà per trovare un nuovo impiego.

Secondo i dati emersi dalla ricerca “The skillfull corporation” di McKinsey, il 43% delle aziende ha carenze di competenze all’interno della propria forza lavoro. Mentre secondo l’ultimo “Employment outlook survey” di Manpower, il 75% dei datori di lavoro ha evidenziato difficoltà nel ricoprire alcuni ruoli.

Negli ultimi anni, inoltre, mentre le aziende si affannano nella ricerca costante di “talenti”, un crescente numero di persone si è dimostrato propenso a lasciare o cambiare il proprio posto di lavoro.

A questo fenomeno, di portata globale, noto come Great Resignation, si accompagna quello del Quiet quitting, espressione di una bassa motivazione, scarso coinvolgimento rispetto agli obiettivi di business della propria azienda.

Questo scenario, pur essendo trasversale alle fasce d’età, è guidato soprattutto dalle generazioni più giovani, maggiormente sensibili e attente alla flessibilità, alla salute mentale e all’impatto ambientale e sociale, tutte tematiche cruciali nella loro gerarchia di valori. I talenti, infatti, e soprattutto i giovani Millennials e la Generazione Z danno maggiore importanza alla qualità del lavoro e della vita sia nella ricerca di un nuovo posto di lavoro, sia nel percorso di crescita all’interno di un’azienda.

Da questo punto di vista è essenziale migliorare  la capacità dei manager di stabilire e mantenere relazioni solide e soddisfacenti con i dipendenti, in modo tale da minimizzare il rischio che essi desiderino abbandonare il proprio impiego.

Per poter disporre con continuità delle giuste competenze, sono state proposte molte soluzioni per attrarre, sviluppare e trattenere le persone in azienda: smart working, benefit economici, piani di welfare personalizzati, solo per citarne alcune. Il dibattito rimane però aperto, perché le soluzioni messe in atto fino ad oggi dalle aziende non sembrano aver funzionato del tutto.

Lo  scenario attuale è caratterizzato da:

  • una domanda di competenze elevata,
  • un’offerta qualitativamente scarsa,
  • bassi livelli di motivazione verso il lavoro
  • necessità di aumentare i livelli di produttività,
  • quattro generazioni di lavoratori, con bisogni e aspettative differenti.

In tale contesto, le aziende devono valutare un diverso approccio allo sviluppo e alla gestione del talento come fattore chiave di successo del business.

Una nuova talent experience: la (ri)scoperta del talento

I fenomeni sopra descritti impattano fortemente sulle dinamiche del mercato, generando, di conseguenza, un grande cambiamento, con il conseguente trasferimento del potere di scelta dalle imprese alle persone che oggi valutano le opzioni a loro disposizione e scelgono di cambiare lavoro o ruolo se non vedono soddisfatti i loro bisogni e priorità.

Un cambiamento su cui riflette anche il libro “Remote Work Revolution: Succeeding from Anywhere”, di Tsedal Neeley, docente alla Harvard Business School che, parlando di ‘era dei dipendenti’, raccomanda alle aziende di abbandonare l’approccio direttivo per abbracciare un nuovo modello di lavoro collaborativo più funzionale a trattenere i talenti in azienda.

E’ questa dunque la nuova sfida?

Secondo l’ultimo rapporto HR Trends di Randstad, la sfida principale delle aziende sta nel focalizzarsi sul trattenere i talenti.  Tuttavia, ad oggi, se il 70% degli HR afferma che “l’azienda ha cercato di trattenere i talenti”, solo il 41% dei candidati è d’accordo con questa affermazione.

A livello globale il 76% degli human capital leader dichiara che la talent experience ha assunto una maggiore importanza per la propria azienda negli ultimi 12 mesi. In Italia solo il 23%.

La strada è ancora lunga, ma la direzione sembra tracciata: nel prossimo futuro le aziende dovranno sempre più attivarsi nella fidelizzazione delle persone, dovranno (ri)scoprire il talento e impegnarsi a proteggerlo.

Alzare il livello della talent experience è un passaggio chiave per rimediare alla carenza di lavoratori qualificati, puntando su obiettivi quali sostenibilità, diversità e trasparenza e stimolando la collaborazione tra tutte le persone come esercizio di costruzione di relazioni.

Prioritario, dunque, lavorare su coinvolgimento e motivazione, nonché sull’ascolto dei bisogni dei lavoratori. Le aziende devono offrire opportunità concrete alle proprie persone per favorire la crescita e l’apprendimento, ma anche l’allineamento tra i valori personali e quelli aziendali.

Affrontare per vincere “la sfida del talento”, significa avere una visione più inclusiva del talento sviluppando e promuovendo una solida cultura aziendale che metta il talento stesso al suo centro con il riconoscimento del valore, delle abilità e del contributo di ogni persona, nella sua unicità, al successo dell’azienda.

Fonte: Arnaldo Carignano Head of Career Transition, Randstad RiseSmart

L’importanza della formazione

Elemento essenziale per il coinvolgimento e la soddisfazione delle persone è fornire opportunità di formazione e sviluppo. Infatti:

La necessità di apprendimento legata alla progressione di carriera è particolarmente sentita nelle generazioni più giovani e in particolare dalla Generazione Z.

Ma, in generale l’offerta di opportunità di acquisizione e/o miglioramento delle competenze, risulta  importante per la maggior parte dei lavoratori come riportano numerose fonti di ricerca.

Fonte: Adecco, World Economic Forum, Linkedin

La formazione non è solo uno strumento funzionale alla crescita e valorizzazione del talento, ma è anche una leva strategica che le aziende possono agire per fronteggiare l’attuale mancanza di competenze disponibili sul mercato investendo sulle risorse già in organico.

Nel numero precedente di questa newsletter abbiamo già evidenziato il ruolo cruciale della formazione come acceleratore di crescita e competitività per le imprese, qui ci interessa far emergere il suo valore come driver di attrattività per le aziende, poiché le aiuta a trattenere ed ingaggiare i talenti.

E questo vale sia per i profili più giovani, che hanno del potenziale e che l’azienda può formare al meglio in un’ottica di crescita, sia per quelli più senior, che necessitano di azioni di reskilling e upskilling sulle competenze considerate indispensabili nell’attuale contesto competitivo.

Per questo motivo, in ARCA Partners abbiamo sviluppato un modello di Apprendimento continuo che favorisce lo sviluppo e il rafforzamento delle competenze e mette in luce come gli aspetti motivazionali, relazionali ed esperienziali siano fondamentali per trasferire la conoscenza e il cambiamento in azienda e ottenere risultati stabili e continuativi, tali da assicurare il miglioramento delle performance della persona.

Il modello opera attraverso:

Il modello di apprendimento continuo a cui si affiancano programmi di supporto come il coaching e il mentoring è parte integrante della nostra strategia di costruzione di una “talent experience” efficace e finalizzata a far sì che le persone diano il meglio di loro stesse in azienda.

In conclusione, possiamo affermare che non è il talento a definire ciò che la persona sa fare, ma è quel che fa che ne è una manifestazione. Ecco perché la formazione continua è un fattore fondamentale per fare del talento un dato di fatto e non una semplice potenzialità.

Alla prossima puntata! Stay tuned!

Se vuoi approfondire il tema della gestione del talento nella tua azienda, i nostri esperti sono a tua disposizione: contattaci!

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